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Zeman per sempre

L'ultima illusione di Zemanlandia

Se, dopo Pavone, dovesse andarsene anche Zeman, Foggia piomberebbe d’un colpo nel presente. Tutta la città, non solo la squadra. Dopo quasi 40 anni. Il paracadute di un passato mitico, in realtà, è già svanito quasi del tutto. E da un bel po’ di tempo, complici anche questi due anni intristiti e sconquassati dal virus. Pavone e il Boemo, già dal principio di quella che sarà in ogni caso la loro ultima avventura foggiana, avevano chiesto altro. Avevano storto il naso, ma si erano accontentati, confidando in un miracolo, in quella magia che ancora tiene ostaggio di se stessa una città profondamente diversa dalla Foggia di fine anni ’80, quando la storia decise di cedere il passo alla leggenda.

Zdenek ci ha provato, perché quest’uomo di quasi 75 anni è molto di più di un grande professionista, è il calcio, è la voglia instancabile e autorigenerante dei bambini di correre coi loro sogni appresso a un pallone. Se n’è fottuto del rischio di mandare in fumo oltre a mille sigarette anche la sua stessa leggenda. Coraggio e incoscienza, come se avesse ancora 20 anni. Chapeau. E la stessa cosa, o quasi, si può dire per Peppino Pavone, lo scopritore geniale di talenti, quello dal fiuto infallibile. Ci hanno provato, tutti e due, ma la magia stavolta non è riuscita. Zemanlandia non è mai tornata, se non a corrente alterna e nei titoli che i giornali hanno dedicato ad alcune vittorie di questa stagione. La squadra ce la mette tutta, a volte è riuscita anche a mostrare un po’ di bel gioco, ma l’entusiasmo non si è mai riacceso veramente. Anche quando è stato possibile, nella brevissima finestra libera dall’incubo covid, lo Zaccheria non è mai riuscito a tornare il catino infernale di un tempo. La categoria pesa, eccome, ma non è solo questo. Con De Zerbi e Stroppa, ad esempio, la “C” a Foggia mostrava pubblico ed entusiasmo da serie A, ma aveva anche un’altra squadra, altre ambizioni. Qualche mese fa, in una lunga intervista concessa ad Attilio De Matteis, Zeman lo aveva detto chiaramente che erano tanti gli elementi mancanti per costruire il mosaico come avrebbe voluto.

L’aveva sognata diversamente, Zeman, questa sua ultima panchina a Foggia, dove tutto cominciò, nella città che si trasformò nel tempio di una nuova ‘religione’ calcistica, un credo capace di cambiare il calcio e fare proseliti in tutto il mondo. In tutto il mondo, a partire dallo Zaccheria. Il giocattolo s’è rotto, o forse non ha mai cominciato a funzionare davvero. Tornare al presente sarà dura. In ogni caso, onore a Zdenek Zeman e a Peppino Pavone. “Non c’è più niente da fare, ma è stato bello sognare”.

Francesco Quitadamo

credits: il disegno a corredo dell’articolo è di Maurizio Di Feo, si tratta della copertina di “Zeman per sempre”, libro di Gianni Spinelli (LINK 1) (LINK 2)

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