La scuola? La prima a chiudere e l’ultima a riaprire in tempi di pandemia. Da quando è iniziata questa grande sciagura globale del Covid, sembra che nulla sia cambiato: appena i contagi riprendono a correre, il primo pensiero è quello di chiudere le aule e ricominciare la litania della Dad, la didattica a distanza (connessione permettendo).
Ma non è vero che le cose non sono cambiate. Personale scolastico e insegnanti sono tutti vaccinati, chi non lo ha fatto è stato obbligato a restarsene a casa rinunciando temporaneamente allo stipendio. Anche ragazze e ragazzi si sono vaccinati. Sono iniziate anche le cosiddette “vaccinazioni pediatriche”, e in Puglia bambine e bambini si stanno vaccinando a gran ritmo, con la prima dose già somministrata a oltre un quinto dei piccoli di età compresa tra i 5 e gli 11 anni.
Sono questi ultimi i più penalizzati dalla chiusura delle scuole. Per loro, la Dad equivale a un lockdown selettivo che colpisce solo e soltanto i bambini. Chi non ha voce per scendere in piazza e fare le barricate. Non poter andare a scuola, infatti, per gli alunni delle elementari significa restare tra le quattro mura di casa, davanti allo schermo di un pc o di un tablet. Pc e tablet per la scuola, pc e tablet per lo svago: una vita davanti a uno schermo.
E’ giusto tutto questo? Ed è giustificabile a due anni dall’inizio della pandemia? Molti ritengono di no. Sono i genitori, le maestre, le docenti e i docenti che – “in direzione ostinata e contraria” – pensano alla scuola non come a un luogo dove ‘parcheggiare’ i bambini, ma come l’edificio nel quale ragazze e ragazzi fanno palestra di vita, imparando a relazionarsi con se stessi e con gli altri, e cominciano a costruire la propria autonomia di persone.
E lo fanno con l’aiuto e alla presenza di adulti che hanno il compito meraviglioso e tremendo di fare loro da guida, di mediare e insegnare, di comprendere limiti e difficoltà dando ai più piccoli gli strumenti per affrontare e leggere la complessità della realtà.
Se bastassero un tablet e una buona connessione per fare ed essere “scuola”, verrebbe meno la parte più importante di quello ‘scambio’, di quella trasmissione di sapere e saper fare, sapersi relazionare e muovere nel mondo, al di fuori delle quattro pareti e una finestra della propria cameretta.
Se bastassero un tablet e una buona connessione, lo Stato ‘da mo’ che avrebbe fatto a meno di insegnanti, docenti, permessi sindacali, stipendi, concorsi e graduatorie.
La scuola è la prima a chiudere e l’ultima a riaprire proprio perché siamo in un Paese che non riconosce valore al ruolo e alla funzione fondamentali, costituzionalmente riconosciuti (la Costituzione trattata come un oggetto di antiquariato), dell’istruzione. Al valore, al ruolo e alla funzione fondamentali di maestre e maestri. Termini desueti, anche questi, “maestra” e “maestro”, relegati a un passato disprezzato come ‘romantico’, da sognatori illusi, ingenui e, diciamolo, pure un po’ coglioni.
E insomma, ci sarà un motivo se l’Italia è il Paese con le percentuali più alte di abbandono scolastico e di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Uno dei motivi, probabilmente, risiede nel fatto che nella scuola, nell’istruzione e nella formazione non si crede più, non abbastanza, non al punto di investirci davvero.
La pandemia è solo l’incidente che ha reso drammaticamente più evidente questo stato di cose. “Aiuto, i contagi sono in rialzo”. “Curr cù, achiudim i scol” (“Corri corri, chiudiamo le scuole”).
Che senso ha chiudere le scuole ora, dopo la corsa alle vaccinazioni e ai tamponi per tutti, le mascherine, l’impossibilità sociale-economica e occupazionale di un nuovo lockdown, l’attenuazione degli effetti del Covid per i vaccinati?
Che senso ha chiudere le scuole quando tutto intorno continua e continuerà ancora almeno per un mese a produrre un aumento dei contagi dentro e fuori dalle case, nei luoghi di lavoro, per strada? Le regole per prevenire e contrastare la diffusione del contagio nell’ambito scolastico sono chiare e continuano a essere le più restrittive rispetto agli altri ambiti della vita sociale.
Con o senza mascherina sul volto, vaccinati o no, riteniamo accettabile il rischio di contrarre il contagio (e di veder contagiati anche bambini e ragazzi) per strada, in casa con o senza parenti e amici, dai nonni, sulle piste di sci, al supermercato, “in ogni luogo e in ogni lago” purché non a scuola. A scuola no, quella deve restare chiusa e vuota come una chiesa, col solo crocifisso a vegliare, nudo e silente, su una “comunità di monadi” incapaci di comunicare per costruire qualcosa di più di una rissa sui social.
ps. Cosa significa “monade”? Dovrei tornare a scuola per impararlo.
Francesco Quitadamo