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Agricoltura in Puglia: ecco perché deve essere una priorità

Il comparto primario è la prima "industria" della regione

Sono 264.747 le aziende agricole pugliesi (fonte ISTAT 2019), e rappresentano il 17,11% di tutte le imprese del comparto primario italiano. Per numero di aziende, la Puglia è la prima in Italia. Le imprese agricole pugliesi impiegano una superficie coltivata pari a 1.285.274 ettari, il 10,20% del dato complessivo italiano. La Puglia dell’agricoltura è forte suprattutto su ortaggi, seminativi, olivicoltura, uva da vino e uva da tavola, ma ha numeri di rilievo anche nella zootecnia, e poi per i legumi e gli agrumi, oltre che per altre tipologie di frutta fresca. Nel 2016, la Puglia registrò 24 milioni di giornate lavorative in agricoltura, impiegando 574.267 persone, numeri che la pongono al vertice delle regioni italiane assieme a Emilia Romagna e Sicilia. Il comparto primario è la prima “industria” della regione. Un’industria “a cielo aperto”, che produce cultura, paesaggio, ricchezza, unicità, lavoro, identità, e molto spesso un’altissima capacità di innovazione. I problemi ci sono, e ce ne sono tanti: nella maggior parte dei casi, il prezzo riconosciuto agli agricoltori pugliesi per i loro prodotti non è sufficientemente remunerativo. Gli ultimi e clamorosi casi riguardano il grano, ma prima ancora è stata la volta dell’uva da tavola e di quella da vino. Con la nuova campagna olearia già in corso, anche il prezzo delle olive e quello dell’olio sono osservati speciali. La “redditività” non solo molte vole è al di sotto di quanto sarebbe equo e giusto, ma spesso tocca livelli troppo bassi per permettere agli agricoltori di continuare a sobbarcarsi il peso dei costi di produzione, il rischio d’impresa sempre più elevato a causa degli effetti devastanti dei cambiamenti climatici e i costi derivanti da burocrazia e assicurazioni. Sotto accusa sono state messe le importazioni indiscriminate di prodotti dall’estero, ultracompetitivi dal punto dei vista dei prezzi ma spesso di qualità inferiore e dalla salubrità non garantita. Le organizzazioni agricole, ad esempio, denunciano da tempo il fenomeno del “falso extravergine d’oliva”, del miele adulterato e del grano “al glisofato” proveniente dall’estero. Sotto accusa sono finiti anche la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) e le multinazionali, oltre alle ‘regole’ di un mercato che schiaccia l’anello debole delle filiere e, con esso, mette nel tritacarne piccole e medie imprese, lavoratori, interi settori il cui “valore aggiunto” finisce per ingrassare solo chi ha il potere di determinare i prezzi al banco e nei supermercati, decidendo di far ricadere il peso di sconti e “3×2” su chi è più debole. Recentemente, il programma televisivo Presa Diretta ha realizzato e mandato in onda un’inchiesta giornalistica sullo strapotere della GDO. Per il momento, in assenza di interventi significativi ed efficaci della politica, sia a livello nazionale che europeo, le ‘armi’ a disposizione del comparto agricolo per aumentare il proprio peso contrattuale sono sostanzialmente due: la prima è quella di fare aggregazione, puntando sulle Organizzazioni dei Produttori, la nascita di Consorzi e cooperative; la seconda, invece, riguarda i mercati di ‘nicchia’, quelli in cui conta proporre prodotti dalla qualità elevatissima, con costi proporzionati a quella qualità. Un’altra arma è quella di vendere direttamente al consumatore, bypassando le intermediazioni. Non tutti, però, sono nelle condizioni di praticare strade alternative a quelle direttamente controllate dalla GDO o dalla parte industriale. Per questo motivo, le organizzazioni agricole stanno insistendo con l’Europa e col governo nazionale: bisogna controllare i prodotti importati che arrivano nei nostri posti, occorre porre un freno alle importazioni, è necessario far valere delle regole che vadano a riequilibrare i prezzi e il rapporto tra le forze in campo.

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