Roseto Valfortore, un palcoscenico sulla bellezza scolpita nella pietra e abbracciata dalla natura

Il paese del miele e del tartufo, gli emigranti orgogliosi della loro identità, la terra dei giganti del vento

Quanto sia bello Roseto Valfortore lo scopri salendo. Raggiungendo il borgo dalla vicina Alberona, attraversi un paesaggio fatto di colline, campi coltivati, strade che fanno la gimcana tra le colline dei Monti Dauni, il territorio con l’altitudine più elevata di tutta la Puglia. A un tratto, però, proprio in prossimità del paese, case e tetti rosetani puoi vederli dall’alto. E Roseto appare adagiata e tranquilla, pronta a essere scoperta. Eolo è il “patrono” pagano di queste colline. Qui Don Chisciotte troverebbe metallo ed eliche per i suoi denti e a Sancio Panza piacerebbe molto il borgo delle rose. Avrebbe di che saziarsi nel paese del miele e del tartufo. Entrambi, dopo ‘perigliose avventure’, siederebbero accanto nella locanda di Tullio e Manlia o in uno degli altri graziosi locali della ristorazione dove si mangia benissimo. Don Chisciotte e Sancio possiamo immaginarceli mentre partecipano il 26 maggio alla festa del patrono di Roseto Valfortore, San Filippo Neri: il prode cavaliere, ritto e impettito, renderebbe omaggio al santo con inchino solenne, mentre il suo scudiero si getterebbe a capofitto sotto il balcone da cui arrivano come manna dal cielo pezzi di formaggio, verdure e pane. Il gusto qui è di casa.

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Al miele e al tartufo si è già accennato, ma tra le specialità rosetane non si possono dimenticare la pasta fatta in casa, i salumi preparati tra le mura domestiche o nelle botteghe di abilissimi artigiani della carne. A Roseto Valfortore si possono incontrare persone come il signor Capobianco. Lui vive in Canada e ogni anno torna per un breve periodo nel suo paese. “I miei figli studiano l’italiano”, ti racconta. “A Toronto la nostra lingua la insegnano all’università. Abbiamo sofferto, abbiamo lottato contro il pregiudizio”. “La polizia a cavallo ci caricava quando ci fermavamo a ridere e scherzare dopo una partita di pallone. Oggi non è più così. Abbiamo sindaci, giudici e governatori di origine italiana. E i figli dei nostri figli ci chiedono dell’Italia, vogliono conoscere i paesi dei loro nonni”. Può capitare che il signor Capobianco ti mostri le foto di famiglia accogliendoti nella sua casetta, dove si mischiano segni e simboli della cultura americana, canadese e italiana: un souvenir di New York, il gadget della squadra di hockey su ghiaccio di Toronto (Toronto Maple Leafs), una copia del “Sud Italia News”, giornale distribuito oltreoceano con “Corriere Canadese” e “Repubblica”. Il luogo simbolo di Roseto è Piazza Bartolomeo III di Capua. Una piazza ampia, dove il paese si ritrova per andare al bar, prendersi un caffé seduti a un tavolino all’aperto. Oltrepassando un grande arco, si arriva alla Chiesa Madre che appare come un gioiello incastonato nel cuore del borgo. Facendo altri 30-40 metri, la vista si apre su una splendida piazza anfiteatro.

Roseto Valfortore è un paese che conta poco più di mille anime. Si trova in provincia di Foggia, ai confini con la Campania, e dista circa 40 minuti dal capoluogo. L’Anci lo ha ammesso nel ristretto club de “I Borghi più belli d’Italia”. L’architettura sacra, a Roseto Valfortore, è caratterizzata dall’utilizzo della pietra – estratta da una vecchia cava del paese – e dall’arte degli scalpellini rosetani. Anticamente chiamato Rosito, il paese deve il suo nome all’abbondanza di rose selvatiche nel suo territorio. L’aggiunta di Valfortore va riferita al fiume Fortore che nasce a est del paese e ne solca la valle. Nel 1882 comincia l’esodo dei rosetani verso gli Stati Uniti d’America dove, nel 1912, in Pennsylvania, gli emigranti danno vita a un nuovo paese, Roseto Pennsylvania, facendolo entrare nel novero dei Comuni Usa. L’impianto urbanistico è di derivazione medievale e le viuzze si lasciano percorrere passo dopo passo in tranquillità, accogliendo i profumi e gli scorci di verde del vicino bosco Vetruscelli. Non potrebbe essere altrimenti, per un paese che prende nome dalla rosa canina e che le rose, oltre ad averle nello stemma, le coltiva anche lungo la strada principale. L’opera degli scapellini rosetani rappresenta il patrimonio artistico più importante del paese. Portali, colonne, bassorilievi sono stati realizzati da maestri che per secoli hanno lavorato la pietra. Il territorio è ricco di sorgenti d’acqua e zampillanti fontane, di mulini ad acqua, di aree da picnic, di orologi e meridiane, tra cui un orologio meccanico, molto antico, il cui quadrante è opera di artisti locali (si trova sul campanile della Parrocchia) e una meridiana che abbellisce il fronte della Chiesa di Santa Maria Lauretana. Da visitare il Centro Visita Mulini ad Acqua. Un ettaro del bosco Vetruscelli, a Roseto Valfortore, è stato trasformato in una sorta di palcoscenico sulla natura incontaminata. In una “conchiglia”, con due colline poste a specchio e divise al centro dal letto del fiume Fortore, è nata una struttura con tre piscine, aree e percorsi attrezzati per gli escursionisti, un museo dell’arte contadina, un casolare ristrutturato e un parco giochi per i bambini. Chi visita questo angolo di paradiso può osservare da vicino il funzionamento di un mulino ad acqua e il meccanismo delle macine che producono la farina.

articolo di Francesco Quitadamo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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“La polizia a cavallo ci caricava quando ci fermavamo a ridere e scherzare dopo una partita di pallone. Oggi non è più così. Abbiamo sindaci, giudici e governatori di origine italiana. E i figli dei nostri figli ci chiedono dell’Italia, vogliono conoscere i paesi dei loro nonni”. Il signor Capobianco vuole che conosca sua moglie e la sua casa rosetana. Mi ci accompagna. Mi mostrano le foto di famiglia. Nella casetta si mischiano segni e simboli della cultura americana, canadese e italiana: un souvenir di New York, il gadget della squadra di hockey su ghiaccio di Toronto (Toronto Maple Leafs), una copia del “Sud Italia News”, giornale distribuito oltreoceano con “Corriere Canadese” e “Repubblica”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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“La polizia a cavallo ci caricava quando ci fermavamo a ridere e scherzare dopo una partita di pallone. Oggi non è più così. Abbiamo sindaci, giudici e governatori di origine italiana. E i figli dei nostri figli ci chiedono dell’Italia, vogliono conoscere i paesi dei loro nonni”. Il signor Capobianco vuole che conosca sua moglie e la sua casa rosetana. Mi ci accompagna. Mi mostrano le foto di famiglia. Nella casetta si mischiano segni e simboli della cultura americana, canadese e italiana: un souvenir di New York, il gadget della squadra di hockey su ghiaccio di Toronto (Toronto Maple Leafs), una copia del “Sud Italia News”, giornale distribuito oltreoceano con “Corriere Canadese” e “Repubblica”.

Li ringrazio per l’ospitalità, li saluto e proseguo il mio cammino.

Voglio andare oltre, verso la Campania. I Monti Dauni sono la cerniera dell’Appennino, punto di contatto e contaminazione della Puglia con le aree confinanti delle province di Benevento, Avellino, Campobasso e Potenza. Tra Roseto Valfortore e Castelfranco in Miscano c’è qualcosa che attira la mia attenzione.

Salgo su, fino all’ultimo piano, laddove osano le pale, nell’Olimpo dei giganti del vento, e scopro la terra delle titanidi. Sono altissime, bucano il cielo, oltrepassano le nuvole, danno un senso di vertigine ed equilibrio, un saliscendi che pompa sangue al cuore alimentando paura, eccitazione, meraviglia. Il paesaggio è stato invaso da questi alieni spettacolari. Letteralmente invaso. Potenti, prepotenti, installazioni gigantesche che rimpiccioliscono tutto il resto. Non so quante squadre di calcio, una sulle spalle dell’altra, servano per raggiungere la grandiosa elica sotto la quale vado a mettermi. Si muove con una lentezza pachidermica, ipnoticamente minacciosa, emettendo un rumore lontano, vagamente sinistro. Questi sono dinosauri di ferro e di plastica. Fiori d’acciaio stilisticamente perfetti. Enormi tiranni samurai che roteano spade fuori misura. E’ uno spettacolo. E’ veramente uno spettacolo. Schiere di enormi tubi sormontati da straordinarie eliche dominano le colline come un contagio. E’ come se Golia mettesse le mani in una cesta piena di fichi d’India e per il dolore gridasse con la raucedine. Non c’ero mai venuto prima, qui, sulla strada che da Roseto Valfortore conduce a Castelfranco in Miscano. Non so dire come fosse quando non c’erano le pale, queste meravigliose orribili aliene. Come doveva essere tutto eccezionalmente meno gotico e più dolce senza questi bellissimi mostri.