Pietra e la processione del 16 maggio che si svolge dal 1889. E quest’anno?
“Ce l’abbiamo nel DNA”. A San Marco in Lamis, per giustificare quanto accaduto con la messa all’aperto del venerdì santo, hanno usato questa frase: “Ce l’abbiamo nel DNA” la tradizione, la fede, il rito delle fracchie. Rinunciarvi del tutto non era possibile, per questo il sindaco ha spiegato che bisognava “fare qualcosa, il minimo”. Non è necessario entrare nel merito di quelle affermazioni e di quanto accaduto per ricordare che sono tante, tutte diverse e profondamente sentite le tradizioni percepite come irrinunciabili. L’8 maggio, ad esempio, in tutto il mondo e in città e borghi della Capitanata si ricorda la prima apparizione dell’Arcangelo San Michele, protettore della provincia di Foggia. Il 16 maggio, invece, dal 1889, gli abitanti di Pietramontecorvino celebrano il loro patrono, Sant’Alberto, con una meravigliosa e partecipatissima processione-pellegrinaggio dal paese al sito archeologico di Montecorvino. Succede da oltre 130 anni consecutivi, ogni 16 maggio. Manca poco più di un mese a sabato 16 maggio 2020. Per ora, il termine del ‘restiamo a casa’ è stato fissato al 3 maggio. In ogni caso, anche dopo quel termine sarà impossibile svolgere manifestazioni con le caratteristiche della processione-pellegrinaggio in onore di Sant’Alberto. Sarebbe bello se, anche in tempi di emergenza sanitaria e pandemia globale, quell’evento si potesse svolgere in modo simbolico, trovando una soluzione che garantisca appieno il rispetto delle norme poste a garanzia della salute di tutti. Magari trasportando un solo palio, uno soltanto, a seguire la statua del santo portata fino a Montecorvino con un trattore. E facendo una diretta facebook della messa dal sito archeologico. Sarebbe bene pensarci per tempo, in modo da consegnare alla Prefettura il piano dettagliato dell’iniziativa.
E qui torna quella frase: “Ce l’abbiamo nel DNA”. Ci sono posti che si raccontano in un giorno, uno speciale, il compendio che non riassume ma moltiplica, esplicita ricchezza e complessità, facendosi largo tra i sensi e il cuore. Pietramontecorvino si racconta il 16 maggio, ogni anno, dal 1889. Il 16 maggio è il giorno dei pali addobbati a troneggiare tra il grano e un paesaggio immenso e vitale come la primavera. Ogni palio un simbolo, un quartiere, cento colori, 14 braccia e quattro funi per governarne l’orientamento e portare il palio fino alla Sedia del diavolo, una torre normanna posta a sette chilometri dall’abitato, nel cuore di un luogo che parafrasando De Gregori “dimostra in maniera lampante l’esistenza di Dio”. Pietramontecorvino, che da queste parti tutti chiamano più brevemente “Pietra”, è riconosciuto dall’Anci come uno de “I Borghi più belli d’Italia”. Il Touring Club lo ha promosso con la Bandiera Arancione, certificazione di elevato interesse ambientale e turistico per i paesi dell’entroterra italiano. E’ bella Pietra. E’ bellissimo il paesaggio che s’incontra sulla strada per arrivarci. E’ buona la birra artigianale prodotta da un gruppo di ragazzi in gamba. Sono saporiti l’olio extravergine e i salumi petraioli. E’ splendida la Torre Normanna del Palazzo Ducale, nel cuore di Terravecchia, il quartiere medievale del paese. E’ bella la sua gente, quella che ho incontrato e che si può incontrare. Pietramontecorvino comincia a raccontarsi con la penna che corre lungo la statale 17, attraversa sentieri di campagna, schiva pale monumentali, s’intinge nelle mille declinazioni di verde, oro e terra che le colline offrono come tavolozze cangianti e fluttuanti. Si scrive in silenzio quassù, con la punteggiatura ondulata dei saliscendi, il ritmo sincopato delle curve che seducono la montagna femmina e rotonda. Il 16 maggio non vorrei essere in un altro posto al mondo che non sia Pietramontecorvino. E’ il giorno di Sant’Alberto Normanno, eremita che scelse come luogo di contemplazione Montecorvino, un borgo di mille e più anni fa di cui oggi restano una torre maestosa, le rovine di una cattedrale e un fascino difficile da raccontare senza ricorrere alla indefinita categoria del ‘magico’. Il 16 maggio, al pellegrinaggio-processione lungo i sette chilometri che separano Pietra da Montecorvino, i bambini e i giovani sono moltissimi. Sono loro a trasportare a braccia i palii di Sant’Alberto, pali di legno, addobbati con scialli e fazzoletti, alti fino a venti metri e pesanti da 100 a 150 chili. Li portano eretti, come aste di bandiera. Alla base del palo sono almeno in tre a sostenere il peso maggiore. Davanti, dietro e ai due lati altri ragazzi tengono in equilibrio il palio con l’aiuto di lunghe funi. La strada per arrivare alla dimora del santo è poco più che un tratturo. I ragazzi alle funi compiono l’intero tragitto tra il grano ancora verde e la terra arata. I palii vengono trasportati per sette chilometri all’andata e sette al ritorno. Accade ogni anno, da quando il santo normanno, l’eremita di Montecorvino, apparve in sogno a due donne di Pietra dicendo loro che per sconfiggere l’eccezionale siccità del 1889 il popolo avrebbe dovuto compiere un pellegrinaggio e pregare digiuno tra i ruderi della vecchia cattedrale. Al ritorno di quella prima processione a Monte Corvino, la pioggia cominciò a scendere abbondante, i campi si dissetarono e i raccolti, di lì a qualche mese, furono tra i più generosi di sempre. Qualche anno fa, il cielo anticipò il rito della pioggia e i pellegrini furono investiti da un temporale. “La processione si fa comunque”, ti spiega l’uomo del bar, “dovessimo tornare senza scarpe, calze e mutande”. E la processione si fa, pioggia o non pioggia, nessuno si cura delle previsioni meteo. La maggioranza va a piedi. Tra loro ci sono uomini e donne di tutte le età. L’odore della terra bagnata, del grano fresco, la continuità di un racconto che unisce affabulazione e autenticità. Gli occhi pieni di un verde mai uguale a se stesso. Campi di cardi, piante selvatiche di ogni forma, alberi la cui chioma dà forma al vento. Vento parrucchiere, stilista, guastatore, malandrino. Ci si avvicina alla Sedia del diavolo come se dovessimo espugnarla. In mezzo all’erba alta, arrancando, col fiatone. E’ così che si conquistano la vetta e una vista esagerata. All’arrivo, tra i ruderi che delimitano ciò che resta dell’antico borgo di Montecorvino, prima si svolge la messa, poi si mangia tutti insieme. Da oltre 130 anni questo è l’evento più significativo, il più sentito per tutti i cittadini di Pietramontecorvino.
di Francesco Quitadamo