Di carcasse sono piene le nostre città. Di edifici svuotati, piscine senz’acqua, anfiteatri senza spettatori, luoghi pubblici abbandonati, depredati, vandalizzati e lasciati ad accumulare polvere e ospitare topi. Fino a due anni fa, era così anche l’edificio di via da Zara 11, a Foggia, prima che quel luogo senza nome e quasi senza più storia diventasse il CSOA Scurìa. In due anni, quel posto è diventato tante cose insieme, tante cose in una. Scuola, laboratorio, officina, palestra, radio e biblioteca, cinema e galleria d’arte, un “hub” come direbbe chi è al passo coi tempi, fulcro di iniziative, creatività, un “luogo dell’agire generativo” secondo un’espressione utilizzata per descrivere la forza di un’altra cosa bella, l’Orsara Jazz. Ecco, si è ascoltata e fatta tanta musica anche allo Scurìa, e si è lavorato tanto, tantissimo, per trasformare una carcassa in un modello ammirato in tutta Italia e in mezza Europa. L’edificio che ha preso e restituito vita in questi due anni è di proprietà dell’Università di Foggia che ora lo reclama, avendo i titoli per farlo. L’Ateneo lo vuole per ospitarci nuove aule e servizi per gli studenti. Ha già il progetto e i finanziamenti per ritrasformare quel luogo. Far coincidere la nascita di una nuova struttura universitaria con la morte (o la mortificazione) di un’esperienza come quella dello Scurìa sarebbe una sconfitta. Non per le persone che danno e hanno dato braccia, anima e cervello all’esperienza del Centro Sociale, non soltanto almeno, ma per un’intera Comunità che crede, e fa bene a farlo, nel futuro di una città come Foggia. “Quelli dello Scurìa” sono pronti a mantenere fede a una promessa: lasciare l’edificio di via da Zara una volta che l’Università fosse stata pronta a dare il via al suo nuovo progetto. Alla città, però, a chi ha a cuore Foggia e la vuole viva e vitale, “quelli dello Scurìa” pongono una questione. Cosa vogliamo farcene degli spazi “carcassa” di questa città? Aspettiamo sopraggiunga la cancrena per amputare e dare in pasto nuovi pezzi di città alla speculazione edilizia? Cosa vogliamo farne della vitalità elettrica e potente espressa da comunità di persone come quelle che gravitano attorno all’hub, al fulcro dello Scurìa? In che modo si risponde alla domanda di spazi sociali che una parte importante e eterogenea della città vede soddisfatta (e contribuisce essa stessa a soddisfare, mettendosi in gioco) in luoghi come il Centro Sociale di via da Zara? O crediamo che tutto possa esaurirsi nella corsa al ticket per un posto al Teatro Umberto Giordano? Questa città ha fame di rivalsa, di riscatto, di motivi per cui essere fiera di se stessa, ed è disposta a mettersi in gioco seriamente per riuscire a esaudire almeno in parte quel desiderio. Quella fame può diventare l’innesco per il cambiamento, un’opportunità che ne crea altre cento, fattore moltiplicativo di crescita. E’ la stessa fame che in altre parti d’Italia e in Europa ha dato vita a esperimenti all’avanguardia che coinvolgono, da protagoniste, realtà come quella dello Scurìa, fornendo nuovi strumenti a chi agisce nei quartieri rivitalizzandoli. Se l’Università guidasse questo processo, trovando con il collettivo dello Scurìa e le istituzioni una soluzione che salvaguardasse l’esperienza di via da Zara, avremmo finalmente una città che ragiona sul proprio presente per costruire concretamente il futuro.
Francesco Quitadamo