ospitiamo una riflessione
di Lino del Carmine, ex segretario della flai prov.le di Foggia.
Sono abbastanza amareggiato, nel leggere e nell’ascoltare i tg nazionali e regionali su un tema che io, avendo avuto un ruolo di dirigente sindacale, conosco bene, parlo dello sfruttamento dei lavoratori nei campi, io aggiungo, anche nei magazzini di trasformazione. Sono amareggiato, non solo perché si continua a morire sul lavoro, ma in questa nostra Italia per affrontare problemi atavici deve scapparci per forza il morto. Solo così ci si accorge degli ”invisibili” di campagna. Ora tutti a parlarne, a fare proposte, ma fino a quando? Fino a quando, spente le luci della cronaca << il lavoro che uccide>> nelle campagne, ma anche nei magazzini di trasformazione, tornerà ad essere il solito fiume carsico, presente ma impercettibile ai piu’.Che fine faranno i buoni propositi di guerra al caporalato come fatto per la mafia? In questi giorni sicuramente fioccheranno i controlli ma dopo? Certamente si costituiranno tavoli tematici, task force, si organizzeranno convegni, ma alla fine cosa partoriranno in concreto? I furbi a percepire la disoccupazione agricola come falsi braccianti e quelli veri a morire senza un perché. Io credo che non basti approvare una legge, come quella sul caporalato dal 2011 per debellare o arginare il fenomeno, come diceva il sommo Dante: le leggi son, ma chi pon man ad esse? Già : chi pone mano ad esse? Non basta l’indignazione d’occasione a bloccare le morti silenziose nelle campagne. L’invisibilità spesso va a braccetto con la tanta ipocrisia e la cattiva memoria, bastava leggere il libro di Alessandro Leogrande di qualche anno fa dal titolo Uomini e Caporali per dire che le situazioni sono ben conosciute già da tempi non sospetti. Ricordo da segretario della Cgil di Orta Nova, nel lontano 1990, nelle campagne di Cerignola, insieme a due compagni scomparsi della Flai, Liano Nicolella e il capo lega di Cerignola Gerardo Cotugno, andammo nelle campagne, sui posti di lavoro, a sensibilizzare i lavoratori e i datori di lavoro (molti padroni) al rispetto del salario contrattuale e alle condizioni più umane di lavoro. Nel contempo cercammo di sedare una guerra tra poveri che iniziava a sorgere tra braccianti locali e immigrati per la campagna del pomodoro. Dove chi ci sguazzava erano solo i padroni. Perché non si inizia a estendere il reato di intermediazione illecita di manodopera anche a chi si avvale dei braccianti sfruttati? Che si applichi il 416 bis o l’aggravante mafiosa quando lo sfruttamento fa leva sui ricatti e le intimidazioni, l’assoggettamento e l’omertà. Aumentare i nuclei ispettivi dotandoli di mezzi adeguati, con l’ausilio del nucleo ispettivo dei Carabinieri di Foggia che è ben diretto. Fermare i tanti pulmini che all’alba partono dai centri di raccolta di ogni città. Assurdo che dopo almeno 20 anni non sia cambiato nulla, dove il sistema è peggiorato e i lavoratori/trici agricoli/e non avvertono la presenza dello Stato, che possa loro garantire i loro diritti. Chi dovrebbe tutelarli, e parlo del Sindacato, molto spesso si limita ad una funzione di assistenza per la compilazione della domanda di disoccupazione, dimenticando il suo vero ruolo e la sua funzione, quella di andare sui posti di lavoro. Ormai il mercato del lavoro è in mano ai caporali, oggi chiamati capi squadra, ma da queste figure, i braccianti sono soggiogati. Io credo che una società moderna dovrebbe mettere in circolo una vera cultura del lavoro, mettendo al centro il lavoratore, mentre davanti alle logiche della prevaricazione e del profitto, il lavoratore diventa meno di una statistica. Prima di chiudere alcuni dati che fanno riflettere e rivoltare lo stomaco. E poi ci meravigliamo che le persone muoiono di “Fatica”.
“Il lavoro sommerso incide per il 32% nel comparto agricoltura italiano. Il dato si riferisce ai primi sei mesi del 2014 ed è contenuto nell’indagine #Sottoterra, Eurispes. Il dato percentuale è in peggioramento: 27,5% nel 2011, 29,5% nel 2012, 31,7% nel 2013”.
L’indagine accende i riflettori su quella che sta assumendo la connotazione di una vera e propria “nuova schiavitù”. I braccianti ricevono mediamente venti euro al giorno in nero per 12 ore di lavoro nei campi dall’alba al tramonto, corrispondenti a 1,60 euro l’ora, un quinto del minimo sindacale. Per i lavoratori agricoli sommersi questi prezzi sono praticamente la regola: 1,90 euro l’ora dalle 5 della sera alle 5 del mattino – si legge nel dossier – chi 35 euro al giorno per raccogliere le ciliegie o 38-40 euro al giorno come bracciante nei campi sono le altre possibilità di retribuzione.
Grande anche l’influenza della criminalità. Secondo il rapporto, il volume d’affari dell’agromafia è stimato in circa 14 miliardi di euro. Chiudo con Talete di Mileto filosofo greco, che guardando troppo in alto, osservando le stelle, non si rese conto dove metteva i piedi cadendo in un pozzo. La serva scoppiò a ridere e disse: stai attento alle cose di lassù e non ti accorgi di ciò che avviene quaggiù. Cosa c‘entrano i braccianti che muoiono con la storiella di Platone? C’entrano perché come per la buca di Talete, i braccianti sono invisibili e inesistenti, sono autentici fantasmi. Speriamo che questa invisibilità si rompa con tanta esistente ipocrisia e demagogia, e che le istituzioni davvero decidano di combattere questo cancro, come lo si fece per le brigate rosse o per combattere la mafia.